Ci sono tre modi di immaginare la Toscana, e tutti e tre sono il risultato di una percezione falsata. Prima di tutto c’è la Toscana dei cipressi: è una Toscana letteraria (i cipressi che a Bolgheri eccetera eccetera), che fino a qualche anno fa si imparava a memoria a scuola e prendeva forma nelle copertine dei libri e nelle cartoline. Abusata, ridondante, eccessiva, questa Toscana ha condizionato pesantemente sia chi viene in Toscana in viaggio (ho visto un’infinità di volte intere famiglie incamminarsi pericolosamente su un viadotto della Cassia vicino a Montalcino solo per poter fotografare il più famoso gruppo di cipressi mai esistito), sia chi ci vive e si sente sospeso “tra la grazia e il tedio a morte” di tanta sfrontata e intoccabile bellezza. Poi, c’è la Toscana dei girasoli. È un fenomeno mediatico, relativamente recente: fino a 20-30 anni fa i girasoli in Toscana erano quasi del tutto sconosciuti, poi sono arrivati gli inglesi e soprattutto gli americani e hanno letteralmente costruito la mitologia del vivere “sotto il sole della Toscana”, per citare un film tratto da un best-seller di Frances Mayes che mi sono rifiutato di vedere (e di leggere) dopo aver sentito l’autrice, dal vivo, recitarne dei brani che trasudavano talmente di luoghi comuni che bisogna essere davvero dei grandi scrittori per metterne insieme così tanti in così poco spazio e in così poco tempo. Questa Toscana è molto fotogenica, ma tendenzialmente falsa. Infine, c’è la Toscana delle vigne e degli ulivi. Decisamente più vera e concreta (è questo il paesaggio toscano: vigne, ulivi e campi seminati a cereali), se non fosse che è il risultato di un paradosso, in cui non è il paesaggio che genera i prodotti tipici che poi si vendono nelle botteghe e nei mercatini, ma il contrario: è l’investimento su quei prodotti, spesso eccellenti e giustamente apprezzati, che col tempo ha generato l’immagine di questo paesaggio, che altrimenti sarebbe rimasto sullo sfondo, poiché non è né letterario né fotogenico. Io amo la Toscana, so che è un privilegio viverci (in una delle zone più belle, peraltro…) ed è evidente la mia “partecipazione” quando accompagno in giro gli amici che vengono a trovarmi. Ma questa concentrazione di sovraccarico estetico, mitopoiesi letteraria e merchandising dell’immaginario, a volte, è insopportabile, e ti fa desiderare di fuggire via, o verso il mare, che almeno ha un orizzonte incognito, o verso paesaggi urbani magari più brutti e difficili, ma anche più fluidi, più mutevoli. Così ho provato a gettare uno sguardo su una Toscana diversa da quelle radicate nell’immaginario collettivo standardizzato, ripercorrendo anni e anni di fotografie rubate, in cerca di percezioni che non siano cartoline, titoli di testa per depliant di viaggi o poster autoreferenziali sui marchi di qualità. Quello che è riemerso dai miei archivi digitali non sarà certo originale, ma almeno somiglia a un paesaggio in cui si potrebbe perfino riuscire ad abitare. A patto di riuscire a dare una risposta ad una domanda ulteriore: un’altra Toscana è possibile?
Un’altra Toscana
80 immagini digitali (2002-2010)
Ciao Mario,
se non l’hai ancora letto, ti consiglio questo:
Gaston Bachelard
La poetica dello spazio
ed. Dedalo
Che dire Mario? È poesia.
Grazie di questa bellissima interpretazione della nostra amata Toscana
Caterina