Riflessi sulla scrittura

Da un po’ di tempo a questa parte scrivo molto poco e aggiorno i miei blog molto raramente. Immagino che nessuno si sia chiesto perché, non c’è alcuna ragione per domandarselo, e neppure io lo so: so soltanto che l’ultima volta che ho pubblicato un post era per parlare di un deserto, e i deserti non si attraversano facilmente, né velocemente. Ma oggi qualche altra parola sta prendendo forma, ed eccomi di nuovo qui, sulla mia tastiera ergonomica. Ma per dire cosa? Che sono finalmente oltre il deserto? Che ho ritrovato la strada per le sorgenti? Che è di nuovo primavera? Mentirei se giocassi con queste metafore scontate e ripetitive. Sto meglio, è vero, ma questo è un dettaglio insignificante, in realtà poche cose sono cambiate, a parte il desiderio di riflettere. Ecco, è per questo che sono di nuovo qui, su questa pagina immateriale. Per riflettere sulla scrittura, ma trasformando le riflessioni in riflessi, il ragionamento in lampi di illuminazione, come quelli che da sempre raccolgo con la mia macchina fotografica nell’acqua oleosa dei porti e dei canali e in quella più limpida dei fondali rocciosi. Che cosa è mai questo desiderio di scrivere a cui non sappiamo rinunciare? Perché non riusciamo a resistere alla tentazione di interrompere il silenzio che pure avevamo intenzionalmente perseguito, ritenendo che non ci fosse più nulla da dire, che fosse sufficiente assistere attoniti a ciò che sta accadendo per comprenderne la futilità? Un poeta/cantautore italiano disse: “perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile”. In modo più diretto e spietato Marguerite Duras ci aveva già ricordato che “la scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità”. Ecco, è proprio così: scrivo perché il deserto non mi basta, perché avverto la sete e non ho altro che le parole per tracciare sulla sabbia il percorso di un fiume da risalire fino a potermi dissetare. E per costruire una mappa capace se non di spiegare almeno di rappresentare questo paesaggio che mi circonda, ostile e noioso, insignificante ma proprio per questo terribile, spaventoso, come tutto ciò che può inghiottire la memoria e le emozioni, la vitalità, l’anima. Ma non basta. Come i riflessi la scrittura è incontrollabile, gli effetti che osserviamo possono essere bellissimi ma il momento in cui si formano non ci appartiene, e se proviamo a inseguirlo ci sfugge: alla fine resta solo ciò che non potevamo vedere, un attimo sospeso nel buio di un otturatore. Ed è per questo, forse, che continuerò a scrivere: per poter finalmente guardare ciò che sono costretto a immaginare mentre si forma. Non mi piacerà, non mi farà sentire appagato, non mi restituirà le emozioni che ho perso. Non avrà neanche un significato. Ma sarà tutto vero, ed è già qualcosa.

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