Si avvicinano altre elezioni, e come altre volte si percepiscono l’audacia e la speranza. Ecco, potrei cominciare così, se fossimo in un altro paese. Ma siamo in Italia, e l’audacia e la speranza sono due parole ormai prive di significato. Non c’è neanche l’ombra di un’imitazione mal riuscita di Obama tra i candidati appesi sui muri delle nostre città come panni sporchi. Di conseguenza, nessuno riesce più a osare. E non c’è più nulla in cui sperare. Andrà come andrà, e quei 3 o 4 punti percentuali che forse si sposteranno un po’ a destra e un po’ a sinistra serviranno solo a regolare qualche vecchio conto in sospeso o a saldare qualche debito. Ma allora perché parlare di elezioni se alla seconda riga di questo post prevale già la tipica amarezza di tanti elettori laici e libertari che si sono stancati di andare a votare per il meno peggio o contro qualcun altro? E che cosa c’entrano i porcospini? C’entrano, i porcospini, eccome se c’entrano. Mi sono venuti in mente ripensando alla citatissima favoletta di Schopenhauer che molti utilizzano come apologo per spiegare tutto quello che può essere compreso nella distanza epistemologica che va dalla psicologia dei gruppi alla sociologia dell’organizzazione, dall’antropologia alla comunicazione, dalle reti alla leadership. In realtà la storia – se la rileggiamo per intero e senza fermarsi al primo capoverso come fanno quasi tutti quelli che la citano – parla (a suo modo) di politica, e può rappresentare un buon commento anticipato sui risultati della prossima tornata elettorale. Eccone una versione integrale tratta dall’eBook Aforismi sulla saggezza nella vita curato da Liber Liber:
«In una rigida giornata d’inverno una truppa di porcospini si era messa in mucchio serrato per salvarsi scambievolmente dal freddo col loro proprio calore. Ma subito sentirono le offese delle loro punte, ciò che li fece allontanare gli uni dagli altri. Quando il bisogno di riscaldarsi li avvicinò di nuovo, si rinnovò lo stesso inconveniente, dimodochè essi furono ballonzolati di qua e di là tra i due patimenti fino a che non ebbero trovato una distanza media che rese loro sopportabile la situazione. Così il bisogno di società, nato dalla vacuità o dalla monotonia del loro interno, spinge gli uomini gli uni verso gli altri; ma le numerose loro qualità ributtanti e i loro insopportabili difetti li disperdono nuovamente. La distanza media che essi finiscono collo scoprire, e nella quale la vita in comune diventa possibile, si è la pulitezza e le belle maniere. In Inghilterra si grida a chi non mantiene la dovuta distanza: Keep your distance! Con questo mezzo il bisogno di mutuo riscaldamento non è invero soddisfatto che a metà, ma in cambio non si sente la puntura delle spine. Chi però possiede molto calore suo proprio preferisce rimanere fuori della società per non provare nè cagionare sofferenze.»
Chi utilizza questa favola come esempio enfatizza di solito la ricerca e il raggiungimento della “distanza media” come un valore in sè. Andando oltre nella lettura si scopre però che più che di un valore si tratta di una necessità, o meglio, di un compromesso che rende sopportabile una convivenza altrimenti insostenibile, per quanto ci si accorga che è solo una soddisfazione parziale, un modo per limitare il dolore. A me sembra proprio che il dibattito politico italiano somigli moltissimo a una danza involontaria di porcospini che cercano di sopravvivere senza farsi troppo del male. In questo scenario di tacita precarietà di comodo non c’è spazio per l’audacia e la speranza: ci vorrebbe un leader capace di donare un po’ di calore e disegnare così nuovi equilibri. Ma temo che sarebbe costretto a restare fuori dal gruppo. Coraggio, abbiamo ancora due settimane di tempo per decidere, nel caso, quale porcospino votare…
E’ lo stesso sconcertante consueto spettacolo di sempre.
La stessa danza. Le stesse mosse. Le stesse spine.
Gli stessi voti?
Giada