Ora basta. Non ne posso più di vedere l’etica e la morale confuse e rimescolate ogni giorno come colori impastati a caso da un bambino fino a ottenere soltanto un substrato grigiastro e opaco. Non sono un filosofo, ma so leggere Aristotele: “poiché ogni conoscenza ed ogni scelta aspirano ad un bene, diciamo ora che cos’è, secondo noi, ciò cui tende la politica, cioè qual è il più alto di tutti i beni raggiungibili mediante l’azione. Orbene, quanto al nome la maggioranza degli uomini è pressoché d’accordo: sia la massa sia le persone distinte lo chiamano felicità, e ritengono che viver bene e riuscire esprimano la stessa cosa che essere felici. Ma su che cosa sia la felicità sono in disaccordo, e la massa non la definisce allo stesso modo dei sapienti. Infatti, alcuni pensano che sia qualcosa di visibile e appariscente, come piacere o ricchezza o onore, altri altra cosa; anzi spesso è il medesimo uomo che l’intende diversamente: quando è ammalato, infatti, l’intende come salute; come ricchezza quando si trova povero” [Etica a Nicomaco, I, 4]. Più di due millenni fa era già chiaro che l’etica ha a che fare con la possibilità di essere felici, ovvero con l’idea di una politica intesa come ricerca (e oserei dire garante) del bene comune. Ma in questa nostra Italia sempre più piccola e meschina ce ne siamo completamente dimenticati. L’etica – nel suo significato più vero – è stata ed è quotidianamente messa in disparte dal dilagare della morale e del moralismo, due facce della stessa presunta virtù che un grande poeta definì “la debolezza del cervello”. Io penso che etica sia la possibilità di scegliere tra alternative che, considerando il bene comune e l’importanza della ricerca della felicità, non impediscano agli altri di scegliere diversamente, mentre morale è l’atteggiamento in base al quale ciascuno di noi decide di scegliere tra le alternative possibili. In sostanza, penso che appartenga all’etica in quanto fondamento della politica garantire una legge che permetta a ogni donna di interrompere una gravidanza, mentre apparterrà alla sfera morale la scelta che ogni donna farà di volta in volta rispetto alle possibilità definite da quella legge. Lo stesso ragionamento dovrebbe valere per tutto ciò che ha a che fare con qualsiasi argomento in cui sono in gioco alternative che non forzano e allo stesso tempo non limitano la possibilità di ciascuno di esercitare la libertà di scegliere diversamente in base al proprio giudizio morale: dall’autodeterminazione rispetto alla morte alla possibilità di procreare grazie alla ricerca scientifica. Ma non è più su questi principi che si fonda la politica. Quello a cui assistiamo quotidianamente è soltanto l’affermazione di una morale maggioritaria rispetto a una minoritaria. Il trionfo del moralismo insomma. Le leggi ormai non definiscono le possibilità di ciascuno rispetto ad alternative capaci di rispondere a istanze accettabili nella misura in cui non prevaricano la diversità dei punti di vista e non vanno contro ciò che si può ritenere bene comune, ma sanciscono, spesso su base emotiva, il prevalere di un giudizio morale in base al quale il percorso di chi ritiene moralmente praticabile un’altra strada viene sistematicamente negato. Non c’è nulla di etico in questo approccio, c’è solo il manifestarsi di ciò che Pasolini aveva così ben sintetizzato affermando che “il moralista dice di no agli altri, l’uomo morale solo a se stesso”. La destra, i conservatori, i reazionari, prosperano in questa confusione tra etica e morale e non a caso approfittano di qualsiasi occasione per definire “etici” temi su cui in realtà intendono esercitare soltanto il loro moralismo, impedendo ad altri di fare o dire ciò che ritengono deplorevole dal loro punto di vista, un passo decisivo verso la censura e il totalitarismo. La sinistra, per parte sua, talora si limita a contrapporre a una morale dilagante soltanto un giudizio morale diverso, ignorando che non è così che si sconfiggono i moralisti, anzi. Che cosa possiamo fare per uscire da questa situazione e restituire all’etica e alla moralità la loro reale dimensione? Che cosa possiamo fare per impedire al moralismo di dilagare fino a rendere l’aria irrespirabile? Forse dovremo imparare a diventare eticamente immorali…
La sinistra storica sembra proprio aver percorso il tratto discendente della sua parabola. Alla destra non succede, non può succedere: le tendenze totalitarie sono figlie della stupidità, e quindi potremmo definirle “rinnovabili”.
Le cose peggioreranno sino a quando non nascerà e prenderà forza una nuova cultura di sinistra, possibilmente non dalle ceneri del marxismo: attualmente guardo a Rifkin, a Latouche e alle dinamiche del global warming. Spero ogni giorno di leggere qualcosa che possa operativamente e rapidamente trasformare in opportunità l’attuale contingenza economica. In confidenza: sono piuttosto spaventato.
Il vero problema è come restituire all’etica il suo ruolo di fondamento della politica. Finchè la politica si fonda sull’uso della morale come paravento, ovvero sul moralismo, non ci sono speranze. Che questa destra qualunquista e becera si comporti così non mi stupisce. Mi dispiace però che la sinistra non sappia fare di meglio…
Io ho l’impressione che non ci sia una morale dilagante; piuttosto parlerei di qualunquismo dilagante. La situazione è più o meno quella che Travaglio ci ha presentato ieri attraverso le parole di Mussolini: siamo talmente pigri, “cloroformizzati”, che demandiamo ad altri le nostre responsabilità e le nostre decisioni; poco importa se questo, inevitabilmente, porterà fino al totalitarismo.
Che fare? Forse spiegare che una dentiera offerta, tra l’altro, dall’Eastman è ben poca cosa se sull’altro piatto della bilancia c’è la nostra sopravvivenza e la nostra libertà.