Potrei pubblicare questi appunti anche sul mio knowledge-blog, o su FaceBook, o in altri contesti forse più adeguati per quelle che in fondo sono riflessioni sulla relazione tra persone e tecnologie. Ma ho deciso di pubblicarli qui, tra auguri, ricette, poemetti e scritti d’arte, perché prima di tutto si tratta di un racconto. Ieri ero in viaggio, di ritorno da Milano. Ho passato il pomeriggio in treno e mi sono perso il discorso di Obama, non ho un telefono abbastanza avanzato da permettermi di seguire la CNN. Però mi sarebbe piaciuto “esserci” in qualche modo, così ho provato a navigare in rete con il cellulare per vedere dove riuscivo ad arrivare. Per farla breve, diciamo che, anche se non ho visto nulla, anche se non ho seguito in diretta, ho partecipato comunque. Solo che l’ho fatto attraverso i continui aggiornamenti di stato di tanti amici su FaceBook, che minuto dopo minuto raccontavano non tanto quello che stava accadendo, ma come loro lo stavano vivendo, trasmettendomi, lo ammetto, molta emozione, tanto che a un certo punto ho dovuto trattenere una lacrimuccia che probabilmente avrebbe messo in imbarazzo un tizio che, proprio di fronte a me, incurante della storia e forse anche della geografia, stava armeggiando con un GPS. Già a Milano (dopo due giornate di seminario sul futuro della scuola…) avevo imparato molto. Ma ora so di aver imparato qualcos’altro: non certo qualcosa su FaceBook, è chiaro (poteva accadere ovunque, e nessuno si aspetti da me risciacquature di panni pseudo giornalistiche sulle tecnologie alla moda…), ma qualcosa su come le emozioni si possono propagare anche attraverso le reti, e forse sul perché riescono a diffondersi come silenziose onde sismiche anche quando il contesto in cui ci troviamo non è dei più favorevoli. Ho imparato prima di tutto che il contatto con ciò che accade nel mondo, quando non è immediato, può essere mediato egregiamente da chi è disposto a raccontare, a condividere, a testimoniare con i mezzi che ha, a patto che l’emozione provata sia abbastanza forte e abbastanza vera da indurre immediatezza nelle sue parole. Ho imparato che non sono i commenti di uno a emozionarmi, fosse anche il maggiore dei cosiddetti esperti, ma l’insieme dei commenti dei molti che posso intrecciare in me, come rotte di navi tra le isole di un arcipelago. Ho imparato che una rete non è un insieme di nodi, ma un continuum di impulsi asimmetrici. E altre cose più marginali, ma che non posso riassumere senza scivolare nella saggistica. Diciamo, sinteticamente, che per quanto fossi seduto in uno sporco scompartimento di un Intercity lento e goffo, per quanto fossi là e ora, in realtà ero anche in rete con Obama e con il futuro. Il che è davvero emozionante, considerando che nella dimensione quotidiana di questo nostro paese imbarbarito, senza memoria e senza fantasia, appare purtroppo improbabile che ci si possa imbattere nell’uno (un leader carismatico come Obama) e nell’altro (un concetto forte come il futuro), a meno di non lasciarsi andare al flusso asincrono del networking, o, meglio ancora, del netbeing, un termine già coniato per definire forme più intense di relazione reticolare. Tralascio ulteriori riflessioni di taglio politico: le immagini mentali di chiunque, ieri pomeriggio, si sia realmente emozionato per ciò che stava accadendo, vivendolo in diretta o condividendolo in rete, valgono in questo caso più di mille parole…
Nella rete guardi con la luce riflessa nello specchio.
Giada