Ma che cosa significa realmente essere giovani? Non penso proprio che sia una questione anagrafica. Piuttosto, significa aver voglia di esplorare e di scoprire, mettendo da parte i pregiudizi che talora ci impediscono di andare oltre; non aver paura di mettersi in gioco, immaginando che al di là di ciò che abbiamo da perdere possa esserci qualcosa per cui vale la pena rischiare; è il desiderio di conoscere e la voglia di imparare; il coraggio di prendere delle decisioni che non siano soltanto un modo per accontentare i nostri interlocutori, ma anche un passo verso l’affermazione di ciò in cui crediamo profondamente; è nella capacità di sopportare la fatica che impone ogni progetto che assomiglia ai sogni che abbiamo ancora; e nella noncuranza con cui si accetta di affrontare qualsiasi sfida, anche quando appare difficile, anzi, proprio perché se ne intuisce la difficoltà; è sentirsi attratti dalla diversità e affascinati dalla complessità; è nella capacità di innamorarsi ancora, di tutti, di tutto, anche senza una ragione, ma confidando nella più profonda delle ragioni; è lo stupore di fronte a ciò che non si è mai visto prima, ma anche di fronte a ciò che ci commuove ancora come se fosse la prima volta; tutto ciò che rafforza la nostra unicità in quanto persone, e la paura di non essere altro che numeri; è la voglia di crescere; è l’entusiasmo, che gli antichi identificavano nel passo in avanti che il kouros e la kore (entrambi realmente giovani) decidevano di fare, per avvicinarsi sorridendo a uno stato di grazia. Ecco, forse essere giovani, sentirsi giovani, è tutto questo, e molto altro ancora.
Ma l’Italia non è un paese per giovani. E non solo perché la classe dirigente è profondamente “vecchia”, ma soprattutto perché ha trasmesso la propria vecchiezza ai figli, che l’hanno trasmessa ai loro nipoti. Questa Italia modellata dalla vecchiaia non premia chi esplora (anzi, lo costringe a cercare altrove le navi o gli strumenti di cui avrebbe bisogno), non incoraggia chi ha voglia di imparare o chi vuole realizzare un progetto, ci insegna fin da bambini a non prendere decisioni e soprattutto a non assumersene alcuna responsabilità, uccide i sogni e la creatività a cominciare dalla scuola, cerca di incanalare i desideri verso il consumo di determinati prodotti, ci abitua a essere passivi, spettatori, ad accontentarci di quel poco che possiamo avere facilmente anzichè spingerci a cercare tutto ciò che potrebbe farci sentire più veri anche se richiede impegno, energie, intuizione. E poi non è un paese per giovani anche perché confonde il significato profondo della parola “giovane” con la pelle tirata, gli impulsi scatenati dai dosaggi ormonali e l’istinto di sopravvivenza, che in effetti appartengono più a certe fasce anagrafiche di età, ma in sè e per sè non determinano la capacità di confrontarsi, combattere (in senso metaforico), sostenere il peso di una scelta, identificarsi in un principio etico, difendere un’ideale. In realtà, ormai, si comincia a invecchiare a 12-15 anni, e si va avanti ingannandoci, fingendo di essere ancora giovani fino a 40-50 e anche oltre, ma senza mai esserlo stati davvero. Tutti o quasi precocemente assuefatti, spenti, privi di qualsiasi forma di vitalità. La vecchia classe dirigente che ci ha ridotti in questo stato, nel frattempo, continua a perpetuarsi, rendendo questo nostro paese sempre più grigio, sempre più opaco. E costringendo ciò che resta del nostro entusiasmo a nascondersi, o a esprimersi in modo sconesso.
Non ho idea di cosa potremmo fare per modificare questa situazione. Non è più il tempo delle rivoluzioni, e poi anche le rivoluzioni, a volte, possono essere un atto superficiale di finta vitalità. Forse ce ne dovremo andare, come hanno già fatto in molti. Forse dovremmo arrabbiarci di più, urlare, agire, rischiando però di sprecare le nostre energie nel vano tentativo di ridare un minimo di forma alla poltiglia sociale in cui stiamo sprofondando. Non lo so proprio. So soltanto che è il momento di esplorare qualche alternativa, di valutare qualche ipotesi più creativa. Mi verrebbe voglia di urlare a tutti coloro che si sentono davvero giovani di unirsi, e di fare un passo in avanti, sorridendo. Ma non sono nè un filosofo nè un economista, e non sono mai riuscito a dedicarmi seriamente alla politica. Spero però che queste poche parole possano almeno aggirarsi tra le strade e le piazze, e soprattutto in questo gomitolo immateriale che è la rete, proprio come uno spettro. O come un giovane in cerca della verità…
Grazie per la sua riflessione, non nascondo che ne farò oggetto di riflessione personale; faccio il Preside in un IISS a Rho è un Istituto Tecnico e ho quotidianamente problemi con la disciplina, con la motivazione allo studio, con le note, con esco prima perché non ho voglia di fare questa materia, eccetera eccetera. Una SANA riflessione sul significato profondo del concetto e non dello stato anagrafico mi “apre il cuore”.
Ancora grazie
Anch’io penso ogni giorno queste stesse cose. Ora che ho compiuto sette anni per la settima volta, improvvisamente mi sento sbalzata dalla categoria di quelli per cui non è ancora ora, a quella di chi ha perso il treno. Ma è l’amarezza il sintomo della vecchiaia, non sono gli anni.
Non chiederti chi sei, sei una persona unica e basta. Sono orgogliosa di essere una tua amica e di poter leggere ciò che scrivi. Ti voglio bene. Claudia