Mai come in questo momento si sono visti e sentiti così tanti fraintendimenti sul concetto di libertà. E sul concetto di democrazia, che ne trae ispirazione. Così tanti equivoci non possono essere casuali: l’informazione da un lato e la ricerca del consenso politico dall’altro stanno evidentemente cercando di imporre una sorta di pensiero unico, fondato probabilmente su interessi di parte, sull’appiattimento di qualsiasi forma di dissenso e su una certa quantità di luoghi comuni. Il paradigma attuale di questa nebbia della ragione è in quello che sta accadendo attorno al problema del cosiddetto green pass, ovvero il documento che attesta la vaccinazione contro il Co-Vid 19. Che qualcosa non vada in questo documento si può facilmente intuire da quanto sta succedendo in questi giorni: un numero sempre più consistente di persone protesta contro l’introduzione del GP. Sono cose che succedono in una democrazia. Ma mai come in questo caso l’informazione e la politica si sono schierate subito contro quello che fino a prova contraria è un diritto dei cittadini. Perché? Se proviamo ad analizzare le argomentazioni di chi vuol mettere a tacere la protesta, non ce n’è una che abbia un minimo di credibilità, sempre che si sia in grado di riflettere con un minimo di lucidità:
La prima argomentazione consiste nell’etichettare chi partecipa a queste manifestazioni come un irresponsabile che vuole far fallire la campagna di vaccinazione contribuendo così a diffondere il contagio, con le sue nefaste conseguenze e via continuando. Queste argomentazioni sono false e fuorvianti: fuorvianti perché spostano ad arte l’oggetto della protesta e della conseguente discussione sull’emergenza sanitaria, mentre il tema su cui si dibatte e si protesta sono i diritti e le libertà individuali; false perché le argomentazioni di chi protesta non implicano la negazione della scelta di vaccinarsi, ma solo la rivendicazione del diritto di non farlo, ovvero di esercitare un diritto giustamente garantito dalla Costituzione. Quanto all’irresponsabilità dei cittadini che protestano non occorrerebbe neanche parlarne: da quanto tempo chi non si allinea, chi non è d’accordo, viene immediatamente considerato irresponsabile? Nel pensiero comune erano irresponsabili i partigiani perché sapevano che attaccando i tedeschi questi avrebbero attuato rappresaglie; erano irresponsabili i lavoratori che scioperavano sapendo che questo avrebbe provocato disagi; erano irresponsabili gli studenti, i pacifisti che mettevano in dubbio le intenzioni degli americani in Viet Nam, gli ambientalisti per via del loro catastrofismo e chi più ne ha più ne metta. Una nota a margine: in tutti i casi citati, da che pulpito veniva il richiamo al presunto senso di responsabilità da adottare di volta in volta?
Così a questo punto scatta il secondo livello di informazione distorta: siamo di fronte a un nemico molto pericoloso (e per di più subdolo e invisibile) e dobbiamo essere uniti, dando prova di coesione e di senso civico, facendo dei sacrifici, che però saranno ripagati quando sarà tutto finito. Questo atteggiamento, purtroppo spalleggiato anche da molti che si autodefiniscono di sinistra, non meriterebbe neanche un commento: è dal 1973 che sento i governi parlare di sacrifici, e imporli; ne siamo mai usciti? Sono mai serviti a qualcosa? Che garanzie ci sono che tutto tornerà come prima o sarà migliore di prima? Prima di cosa, tra l’altro? Considerando cosa sta accadendo davvero sotto la superficie della crisi, per noi italiani cambierà come minimo la proprietà di chissà quante aziende e imprese. Nell’indifferenza non disinteressata della classe politica tutta, diventeranno cinesi o di chissà chi altro. E poi gli irresponsabili sarebbero quelli che scendono in piazza…
Il terzo livello di disinformazione è più sottile, perché entra in parte nel merito reale della protesta. L’accusa è di esagerare: a paragonare la situazione ad una forma di nazismo; a pretendere di limitare norme di sicurezza indispensabili; a rivendicare il diritto alla salute come scelta individuale. Lasciatemi confutare pacatamente, ovvero senza esagerare, queste posizioni.
Sì, forse il paragone con il nazismo sarà esagerato, ma solo perché non ci sono le SS per strada, solo perché non ci sono campi di concentramento. Il fatto è che una democrazia non può ammettere una schedatura di massa che si traduce in un documento che di fatto autorizza una parte della popolazione a fare cose che impedisce ad altri: questa è l’anticamera di un totalitarismo perché sono i totalitarismi che distinguono i cittadini in Buoni e Cattivi, Corretti e Scorretti, in quelli che possono e quelli che non possono; tutto questo va evitato assolutamente perché siamo in una democrazia e le democrazie sono fragili, vanno difese, vanno curate. E devono basarsi sull’inclusione, non sulla discriminazione. E stabilire che ci vuole un documento per attestare chi è vaccinato e chi no è di fatto discriminatorio. E lo è per entrambe le categorie dei vaccinati e dei non vaccinati, perché anche chi lo possiede potrebbe essere oggetto di discriminazione, in quanto si viola il suo diritto alla privacy, il diritto di non mettere in giro per esempio che tipo di vaccino ha fatto o quando lo ha fatto, tutti dati sensibili che un datore di lavoro scorretto o chiunque altro potrebbe usare contro questi stessi cittadini.
Quanto all’esagerazione sulle norme di sicurezza va detto che non è assolutamente dimostrato né dimostrabile che impedire la circolazione delle persone all’interno di un paese o tra paese e paese con provvedimenti provvisori o peggio ancora in base al possesso o meno di un documento che attesta qualcosa che molti cittadini potrebbero non voler subire è una violazione palese degli accordi di Schengen e mette quindi in discussione un principio di unità, la circolazione senza barriere all’interno della UE, che l’Europa ha faticato ad attuare e lo ha fatto per venire incontro ad una delle istanze fondamentali dei fondatori dell’Europa: poter vivere dopo una guerra disastrosa all’interno di un gruppo di paesi che tra di loro mostravano fiducia reciproca, apertura, inclusione. Quanto valgono queste conquiste? A mio parere sono inestimabili… e vanno rivendicate: l’Europa ha coltivato per decenni una visione inclusiva basata sull’incontro e sullo scambio tra i popoli che ne fanno parte. Come si può accettare che tutto questo venga annullato, in nome, magari, degli interessi di alcune aziende farmaceutiche?
E qui si arriva al terzo punto. Che cos’è la salute e a chi spetta stabilire che cos’è ? In una democrazia spetta al governo e al Parlamento definire le linee guida della sanità, cioè definire il sistema e i servizi in grado di garantire la salute in quanto diritto dei cittadini. Non spetta ai governi stabilire cos’è la salute e su quella base attuare delle forme potenzialmente discriminatorie di controllo su chi si è adeguato al modello di salute predefinito e chi invece non si è adeguato. Questo dovrebbe essere un principio fondamentale: la salute è un diritto individuale e spetta a ciascuno di noi stabilire che cosa ne fa parte, ferme restando le limitazioni peraltro già previste dalla legge sui comportamenti di chi agisce dolosamente per diffondere agenti contagiosi.
A questo punto dovremmo chiederci che significato e che valore diamo alla libertà: accetto l’idea che sia partecipazione. Ma per esserlo deve essere inclusiva, deve unire e non separare, deve evitare ogni forma di discriminazione, deve essere equa. Spero con queste poche parole di aver contribuito a chiarire quello che sta accadendo in questo momento…