Se ne è andato un altro amico, un altro artista. Ma in fondo che differenza fa? Un artista non è mai solo, un amico non sarà mai realmente scomparso, mi dico, per convincermi che sia davvero così. Ma se ne è andato, questo è successo, in pochi giorni. Così. E ancora non la comprendo questa assenza: sto solo cercando di raffigurarla, perché so che a lui piacerebbe. Così. La immagino come qualcosa di rosso, qualcosa di astratto, qualcosa che è accaduto nel silenzio. Tre parole fondamentali per capire chi era Beppe Friscia. Rosso, astratto silenzio. Oppure silenzio, rosso, astratto. Si possono combinare all’infinito quelle tre parole. Fino a farne la cornice della circostanza per cui tanti anni fa ci siamo conosciuti: una conversazione interessante, da cui prese forma un progetto che in qualche modo ha rappresentato anche un piccolo passo per l’umanità della rete. Rosso, astratto, silenzio erano le sue ipotesi. Io invece pensavo in bianco e nero a qualcosa di concreto e dove tutto potesse avere voce. Ne nacque uno dei primi esperimenti di integrazione tra la realtà virtuale e un’esperienza artistica contemporanea, ancora documentato e in parte esplorabile [link], se non fosse per i plugin ormai introvabili o per qualche script non più compatibile. Sì, perché tutto questo è successo nel 1998: ad una sua mostra, Beppe poteva dialogare attraverso il suo avatar con i visitatori remoti di una fedele ricostruzione tridimensionale immersiva della stessa mostra. Non era poco, vent’anni fa. Tanto che alla fine ciascuno di noi ne ricavò qualche scintilla utile per ripensare alla concretezza dell’astrazione, ai suoni del silenzio, al rosso, al nero e agli altri colori, quelli puri, quelli che si guardano con gli occhi ma si vedono solo con la mente.
Mi piacerebbe incontrarlo ancora, domani o un altro giorno, in queste vecchie strade che da oggi sono più vuote. Probabilmente mi direbbe, quasi senza parlare, che – qualunque cosa accada – non dobbiamo smettere di abbattere i muri che ci dividono gli uni dagli altri e quelli che a volte costruiamo dentro di noi. Poi ci diremmo anche che non possiamo evitare di raccogliere le voci per riascoltarle dentro il nostro silenzio. E che non aver paura di cercare, di immaginare, di amare, sono l’essenza dell’arte perché sono il senso della vita. Quella stessa vita che solo ogni volta che finisce ci appare in tutta la sua astratta consistenza.
[Beppe Friscia, 1954-2017]