Anche quest’anno è Natale, e in questa lettera immateriale che pubblico dal 2004 dovrei provare a esprimere qualche desiderio. Ma a pensarci bene non voglio nulla. Che cosa dovrei desiderare? Ho già molto, e ogni giorno cerco di pensare a ciò che ho per poterne apprezzare il sapore, la consistenza, e la luce che risplende nei suoi occhi quando mi guarda: ciò che sono è in tutto ciò che ho; ciò che ho già è tutto ciò che mi permette di essere; e soltanto uno sciocco potrebbe pensare che non sia abbastanza.
Ma non è forse questo che succede? Non ci sembra mai abbastanza. Soprattutto quando si avvicina il Natale e siamo circondati, come sopravvissuti in un avvallamento che sta per essere travolto da una piena o da una valanga, da elenchi ripetitivi e insopportabili di cose che dovremmo avere per illuderci di essere qualcosa di più di ciò che siamo realmente. Puntatori laser pilotati da gente senza coscienza, per renderci ciechi, per confonderci le idee e farci dimenticare che possediamo già quello che ci basta se sappiamo riconoscere ciò che siamo. Siamo nel momento in cui riusciamo a guardarci intorno e a vedere l’eternità racchiusa in una scatola di ricordi che anche senza di noi sarà capace di attraversare lo spazio e il tempo, diluita in quel libro che abbiamo già letto e di cui ci piace cogliere qualche parola che riemerge, o in quella fotografia che non racchiude alcun momento che non si sia già vissuto eppure va oltre, racconta favole e storie, rivela orizzonti inaspettati, ci accompagna come un mentore fino alle porte dell’immaginazione. Siamo nell’attimo in cui riusciamo a percepire il mondo intero in una voce, in una carezza, in un bacio.
No, non voglio nulla. Non per me, non ne ho bisogno. E anche se proprio desiderassi qualcosa so bene che nessuno potrebbe fare niente per esaudire quel desiderio, neanche se volesse: è così, e basta. Così cercherò di attraversare queste giornate masticando parole, immagini, idee, sapori, profumi, emozioni. Come ho sempre fatto. In ciò che troverò scarterò i miei regali. In ciò che riuscirò a raccontare e a condividere racchiuderò i miei doni. è questo, in fondo, che facevamo quando eravamo innocenti: non erano i regali in quanto tali a renderci felici. Era lo stupore per gli alberi nella neve, la meraviglia per una sorpresa inaspettata, l’attesa, la sensazione di essere protetti e allo stesso tempo liberi di perderci in una galassia racchiusa in una sfera di vetro colorato. Era la sensazione di possedere l’intera durata della nostra vita, la certezza di esserci. E la voglia di ascoltare i racconti di chi aveva viaggiato in quell’essenza di infinito. Avevamo capito tutto. Poi sono arrivati gli orchi, travestiti da piazzisti, da potenti o da banchieri. E abbiamo cominciato a dimenticare.
Ora, solo per gli altri, per tutti gli altri senza alcuna distinzione, vorrei chiedere qualcosa a questo Natale. Simbolicamente, come un sigillo sul mio cuore. Ma sono cose troppo semplici e troppo umane per parlarne senza timore, e allo stesso tempo troppo difficili, troppo imbarazzanti per essere riconosciute e accettate. Posso solo provarci…
Vorrei un po’ di bellezza, prima di tutto. Ma cos’è la bellezza? In quale angolo si è dovuta nascondere per sfuggire ai mostri che la inseguono e l’assediano? Cercatela, finché siete in tempo; è ovunque, se sappiamo come riconoscerla: è nei fiori di pietra di una pieve tra gli ulivi, in una rovina corrosa ma ancora fiera, in un gesto dipinto nella memoria di una parete che esprime vertigine, nella trama dei vecchi vicoli, in uno squarcio di luce che filtra dalle vetrate, o quando l’ultimo sole si inchina alle torri più alte, mentre il resto della città è già avvolto nel crepuscolo. è nell’infinita vanità che non si rassegna a essere vana. Nel tutto che raramente ci appare chiaro. Ma non è da nessuna parte per chi non vuole vedere, per chi sa solo distruggere o per chi cerca solo di appropriarsene, di imprigionarla, di farla a pezzi per poterne rivendere le spoglie travestendole da tentazioni. Dimenticando che, come gli angeli, la bellezza ha due ali: l’integrità e la metamorfosi. Che non possono essere recise senza ucciderla.
Poi vorrei un po’ di giustizia. Ma cos’è la giustizia? Chi può ancora parlarne? Giustizia, sto parlando della giustizia. Quella che non va a passeggio con la legalità ma con la libertà. Quella che dovrebbe ispirare sia le nostre azioni che le nostre reazioni. E che da troppo tempo è coperta di polvere. La stessa polvere che i corrotti, i ladri, gli assassini hanno scrollato via dalle loro giacche e dalle loro coscienze, lasciandola accumulare su un solo piatto della bilancia. Polvere che non abbiamo più il coraggio o la forza di affrontare, se non urlando nel vuoto, aggrappandoci forse all’idea che abbiamo della giustizia come di qualcosa che ha a che fare con la legge, ma non all’unica speranza concreta che ci resta: quella di provare, semplicemente, a essere giusti. Come chi ha difeso un innocente, chi ha salvato una vita, chi non ha accettato compromessi, chi ha messo amore, e cura, nel suo lavoro. La giustizia è solo un’intuizione che porta a un gesto che è il contrario esatto dell’irresponsabilità. E sono questi gesti che svelano l’etica che dovrebbe guidarci. Dovremmo farcene dono. Ogni giorno.
E poi vorrei un po’ di pace. Sì. Proprio quella. La pace nel mondo. Che se non ricordo male non è solo una battuta su cui ironizzare in qualche commedia politicamente scorretta, ma un concetto intimamente legato al Natale e all’umanità. Pax in terra. Pax optima rerum. Già, ma cos’è la pace? Dov’è? La pace è preferibile alla verità, disse un saggio che credeva nella ragione. Eppure, appena cento anni fa la pace è stata annegata in quasi tutta Europa nel sangue di ragazzi come lo siamo stati noi, e si è difesa rannicchiandosi insieme a loro nelle trincee ricoperte di neve sporca, per trascorrere con loro un Natale di guerra che può sembrare remoto e irreale, ma che in realtà è quello che da allora abbiamo trascorso ogni anno: una tregua, nella migliore delle ipotesi utile per recuperare un po’ di respiro, nella peggiore necessaria per pulire le armi, ricaricarle, prepararle per qualche altro imminente massacro. Non qui, magari, ma che differenza fa? Se il mondo è diventato così piccolo da darci l’impressione di essere solo un villaggio allargato dove le idee, le cose e le persone circolano velocemente, perché mai dovremmo fingere di ignorare che in questo stesso villaggio in cui abitiamo, a pochi isolati da qui, si combatte ancora come allora, si uccide, si stupra, si saccheggia, forse senza neanche più fermarsi per una festa che non riusciamo più non dico a sentire, ma neanche ad ascoltare? Per quale ragione dovremmo chiudere gli occhi e fingere di non aver visto? Non c’è strada che porti alla pace che non sia la pace, l’intelligenza e la verità. Sono parole di Gandhi.
Questo vorrei. Ma non so come fare. Sono doni che non riesco più a incartare con le mie parole, e immagino che ci sia anche chi pensa già che si tratta di concetti astratti, di scatole vuote, o, peggio ancora, di cedimenti al buonismo e alla retorica. Ma non importa. A volte, mi piace lasciare che le parole prendano la consistenza dell’acqua che si fa strada tra i sassi e il ghiaccio, qui tra queste montagne dolci e minacciose, dove un refolo di vento mi disse che sarebbe tornato a illuminarmi, ma poi non si è più fatto sentire. Buon Natale a chi legge, allora. A chi non avrà letto altro che le prime righe. A chi leggerà tra le righe. A chi leggerà ciò che vuole. A chi rileggerà più volte. E a chi non saprà mai che questa pagina esiste.
Leggendo dai Discorsi di S.Agostino mi tornata in mente la sua lettera di Natale. Temerariamente le invio il link! Un 2015 di bellezza, giustizia e pace!
Grazie per questo “presente” natalizio : un dono di profonda acutezza, generosissimo di spunti e di riflessioni esistenziali tutte racchiuse in una fiabesca e cristallina palla di vetro trasparente che ci ha lasciato incustodita sotto l’albero !!
Grazie…. per questi doni incartati con le parole… che danno l’essenza delle cose che contano… 😉
Ho letto tra le righe. Ho letto anche quel che volevo. E ho riletto più volte. GRAZIE!