Domani il Parlamento eleggerà il nuovo Presidente della Repubblica: è un momento importante nella vita di un paese, ed è in queste circostanze che si può capire se una società è ancora capace di credere nel futuro fino a tracciare una rotta per esplorarne i confini, o se, al contrario, si sta incamminando verso un abisso di inconsistenza e conflittualità.
Ma non voglio trarre delle conclusioni prima di vedere quali saranno i risultati del voto. L’elezione del Presidente della Repubblica evoca in me ricordi precisi. Ero poco più che un bambino, e a scuola portarono in classe un televisore per farci vedere in tempo reale le votazioni e spiegarci che cosa stava succedendo, e che cosa era scritto in proposito nella Costituzione. La materia si chiamava Educazione Civica, e nella mia scuola era considerata molto importante. Peccato solo che già allora la classe politica non fosse altrettanto attenta alla partecipazione che i cittadini esprimevano: elessero infatti un presidente quanto meno discutibile come Giovanni Leone, applicando logiche politiche che noi ragazzi avremmo capito (a nostre spese) solo dopo parecchio tempo. Ma l’idea di rendere una classe di ragazzini consapevole di ciò che riguardava tutti era eccellente, e penso che abbia lasciato in tutti noi un segno profondo, una voglia di partecipare che solo il declino degli ultimi anni è riuscito a intaccare.
Non so se si fa ancora educazione civica nelle scuole, ma penso a come sarebbe bello oggi seguire le votazioni, da domani in poi, elaborando dati in tempo reale grazie ai tablet o discutendone scarabocchiando grafici su una LIM. E a quanto sarebbe interessante per i ragazzini di oggi sperimentare in prima persona la possibilità stessa di influire indirettamente sulla scelta di chi, nei prossimi anni, rappresenterà anche loro, anzi, soprattutto loro, che avranno 18 anni quando il futuro Presidente concluderà il suo mandato.
Certo, molto dipenderà da chi sarà eletto. A me ad esempio appassionò molto di più la votazione successiva a quella che avevo seguito a scuola, quella che scelse Sandro Pertini. Pertini fu un raggio di luce nell’adolescenza di una generazione costretta troppo presto ad abituarsi alle difficoltà e ai rischi. Era un nonno e un padre, un cittadino, un uomo. A volte era retorico (inevitabilmente), a volte anche troppo informale. Ma è così che immaginavo un Presidente: la personificazione di una storia in cui si erano definiti col sangue i confini tra il bene e il male, ma tutto il resto era ancora possibile; l’immagine in cui ognuno di noi avrebbe potuto riconoscersi. Ricordo che organizzai una mostra fotografica per denunciare lo stato di abbandono di alcuni importanti siti storici della mia città. Un piccolo progetto con una forte connotazione locale. Ma con l’ingenuità e l’irruenza dei ragazzi scrissi al Presidente della Repubblica Sandro Pertini per invitarlo all’inaugurazione. Credevo sul serio che avrebbe anche potuto esserci. Ovviamente non venne, ma un paio di giorni prima mi arrivò un telegramma (uno quei foglietti gialli piegati in modo strano) in cui Pertini si scusava per gli impegni che aveva e mi incoraggiava a portare avanti con coraggio una così bella iniziativa. Ci avrà pensato un segretario, ma quel foglietto giallo (che ancora conservo con un certo orgoglio) era reale, anzi, era vero: era il segnale di una presenza, di una vicinanza, della possibilità che avevo, come cittadino italiano, di identificarmi con chi rappresentava una storia, una cultura, le istituzioni, ma anche una visione del mondo, una speranza. Rappresentava anche me. Penso che quel foglietto giallo abbia influito in modo determinante su ciò che sono diventato e ciò che ho fatto: non importa se sono riuscito o meno a fare qualcosa di importante o di utile, quello che conta è che l’ho fatto con coerenza e con coraggio, con onestà e immaginazione, con incoscienza e con saggezza. Come faceva il Presidente.
Per questo le votazioni di domani sono importanti: perché si vedrà se la classe politica si aggrapperà alla propria autoreferenzialità come un naufrago si aggrappa a un relitto che non può affrontare il mare; o se, al contrario, i nostri rappresentanti saranno capaci di scegliere qualcuno in cui i cittadini possano identificarsi, qualcuno capace di accompagnarci su altre strade, ancora inesplorate, restituendo all’Italia due virtù bellissime, che questi anni di incoscienza hanno sperperato: la speranza e la dignità. A me questa volta piacerebbe che fosse una donna. Una donna che ha conosciuto la vittoria e la sconfitta. Una donna che sappia che le differenze tra la luce e il buio si colgono all’alba o al crepuscolo. Che non presuma di essere saggia, ma dimostri di esserlo ascoltando tutti i cittadini, senza per questo dimenticare le emozioni, senza per questo scendere a compromessi. Che possa essere d’esempio, ma non per le scelte politiche che saprà determinare: per il coraggio con cui accetterà e affronterà la paura, per la serenità con cui riuscirà a mantenersi in equilibrio, per la voce calma con cui saprà parlare a chi grida troppo e per l’intuito che le permetterà di percepire le voci dei più deboli, perse nel silenzio dell’indifferenza o nel rumore assordante del conformismo.
Di donne così in Italia ce ne sono tante.