Meriti e bisogni

Oggi non ho voglia, come direbbe un poeta ermetico, di tuffarmi in un gomitolo di strade. Non ho voglia di sfogliare giornali densi di vacuità, né di ascoltare voci inconsistenti, né di osservare lo scorrere di post e tweet che per la maggior parte evocano più l’allegria dei naufraghi che le istanze di una società civile. Oggi ho voglia di leggere. Anzi, di rileggere.

Voglio rileggere delle parole che a suo tempo mi colpirono molto, e che in qualche modo, probabilmente, hanno condizionato il mio percorso, o quanto meno ispirato una parte della mia visione del mondo. Si parlava di bisogni e di meriti, e di come la politica dovesse consistere essenzialmente nel cercare di rispondere agli uni e allo stesso tempo valorizzare gli altri. In modo da delineare lo schema virtuoso di un welfare adeguato al cambiamento suggerito dall’evolversi di quella che sarà poi chiamata “società della conoscenza”.

Ma rileggiamo con calma:

“Come si definisce il mondo del bisogno? Certo si possono enumerare per grandi categorie coloro che ne fanno parte […]. Penso ai carcerati, agli alcolizzati, ai tossicodipendenti, alla follia, ai malati, agli handicappati, agli anziani, ai minimi pensionabili senza una famiglia che se li prenda in cura, ai bambini appunto, alle donne ed agli uomini che sono soli e non vorrebbero essere soli, ai giovani ed alle ragazze che bussano al mercato del lavoro e non riescono a varcarne la soglia, che cercano una casa per sposarsi e devono rinviare il matrimonio, che sono esclusi dalla cultura e dal benessere. Il mondo del bisogno somma le vecchie e le nuove povertà ma comprende anche altro, comprende anche povertà non economiche, povertà non di merito o di spirito. Esso ha in realtà un altro e solo un altro minimo comun denominatore, qualcosa che abbiamo smesso persino di nominare: il dolore”.

“Chi sono gli individui o le persone di merito? Chi può agire nella società contemporanea? Certo, può agire chi ha, il ricco, il ricco di sempre, il rentier o il capitalista: non è a lui che ci rivolgiamo giacchè la massima delle sue azioni sarà pur sempre ispirata all’idea di conservare le condizioni del suo privilegio, e anziché aiutare a governare il cambiamento proporrà di governare il passato e di impedire che il presente partorisca il nuovo. Ma la società contemporanea, la nuova stratificazione sociale, la rivoluzione prodotta dalla innovazione tecnologica, l’innovazione scientifica e le applicazioni industriali, il processo di acculturazione che ha investito milioni di individui, la diffusione del sapere e delle informazioni, l’universo della comunicazione e della conoscenza, la disponibilità della società moderna ad accogliere – dall’artigianato all’elettronica – l’abbinamento di produttività e di creatività, hanno creato una nuova multiforme figura sociale: l’individuo che detiene un sapere, l’individuo che conosce delle tecniche, delle procedure, l’individuo che ha una professionalità, l’individuo che governa i meccanismi della riproduzione sociale e della produzione industriale, la trasmissione e l’innovazione della cultura, delle conoscenze, delle mode e dei costumi, l’individuo che padroneggia la sua giornata, la sua settimana, il suo tempo libero, la sua istruzione e quella dei suoi figli, le sue vacanze e i suoi consumi: la persona che non si riduce alle opere ma che accetta di essere misurato anche dalle sue opere e dai loro effetti”.

“L’alleanza tra il merito ed il bisogno è la base sociale possibile e giusta ed è con ciò stesso la base morale e civile del riformismo moderno. E’ ciò che deve ispirare la condotta dei nostri sindaci e dei nostri amministratori, dei nostri ministri e dei nostri sottosegretari; del partito nel suo assieme se il partito, come sembra volere, torna ad essere anche attore sociale nelle malcalcolate strutture del decentramento amministrativo, sanitario e scolastico, nel sindacato e nella cooperazione, nella promozione e nella organizzazione di nuove forme associative e di nuove espressioni della partecipazione politica che nascano dallo stesso nostro combattere per singole buone cause sociali e per singole buone cause civili […]. La politica democratica è oggi sottoposta a molteplici sfide: la sfida energetica, la sfida elettronica e con esse l’insorgere di nuovi consistenti poteri: il potere finanziario, il potere dell’informazione, il potere tecnologico. Da un’altra parte essa è sottoposta alla sfida dei nuovi bisogni. La politica democratica non può né ostacolare il progresso tecnologico né eludere i problemi posti dai nuovi bisogni. Viceversa proprio la grandiosità ed insieme la rischiosità dello sviluppo tecnologico e l’insorgere dei nuovi bisogni sembrano suggerire ad opposte sponde politiche la sfiducia nella democrazia e il ricorso ad èlites, ad oligarchie o aristocrazie. E’ comunque una scelta reazionaria che maschera il ricorso ad una nuova chiesa e a nuovi sacerdoti (i governi dei tecnici) per timore del cambiamento. L’essenza della democrazia è di accettare le sfide. Ma le sue vittorie non consistono nell’abolire i contendenti, ma nel dimensionarli, nel riconoscerli ed apprezzarli in quanto parte che a sua volta riconosce l’autorità democratica – rinnovabile e rinegoziabile – dei rappresentanti dei cittadini”.

Ora mi dispiace deludere quanti avranno pensato che si tratti di stralci tratti da qualche illuminato pensatore contemporaneo. Al contrario, sono parole pronunciate da un antipatico uomo politico della prima Repubblica, Claudio Martelli, in occasione della Conferenza Programmatica del Partito Socialista che si tenne a Rimini nel 1982. L’intervento si intitolava Per un’alleanza riformista fra il merito e il bisogno.

Ero poco più che un ragazzo allora, e proprio in quei giorni nasceva mio figlio. Dopo più di 30 anni, tuttavia, non solo non siamo riusciti ad attuare quasi nulla di quel programma, ma, se possibile, siamo andati via via peggiorando: non solo si fa sempre di meno per sostenere i bisogni, ma si aggiunge dolore al dolore, spesso per incompetenza, per furbizia, per l’interesse di pochi o in nome di chissà quale ragion di stato e di mercato; quanto ai meriti, sono calpestati ogni giorno: si ostacola la ricerca, si sprecano le competenze (magari per premiare un portaborse), si inibisce la creatività, e come se non bastasse, spesso si insulta l’intelligenza in quanto tale.

Forse qualcosa ci è sfuggito nel dibattito di allora, forse abbiamo liquidato troppo in fretta ciò che appariva vecchio e corrotto, fingendo di ignorare che il vero rinnovamento consiste prima di tutto nell’attuare riforme effettive e giuste, e non nel sostituire in fretta i gattopardi (come diceva saggiamente il Principe di Salina) con le iene e gli sciacalli. Forse siamo semplicemente un popolo con la memoria corta e, di conseguenza, la vista annebbiata: incapace sia di andare avanti che di soffermarsi e riflettere, costretto ad annegare in un presente vissuto costantemente come emergenza. Quando riusciremo ad accettare il meglio di ciò che siamo stati o avremmo potuto essere per ritrovare il coraggio di tracciare (tutti insieme) una nuova strada da percorrere?

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