Piccolo pamphlet

In che strano paese viviamo, e in che strano momento della vita di questo nostro paese. Capita che i cittadini comincino a stancarsi di una classe politica che ha dato evidenti prove di colpevolezza o di incapacità rispetto alla situazione in cui ci troviamo. Capita che i cittadini dichiarino che non andranno a votare, o che voteranno per dei movimenti che somigliano poco ai partiti tradizionali, o per persone diverse da quelle che finora riempivano le liste dei candidati. Capita che tutto questo accada in un momento in cui quasi tutti i partiti tradizionali hanno deliberatamente deciso di abdicare dal loro ruolo – ovvero dalla ragione stessa per cui dovrebbero esistere – e di affidare a un governo di soli tecnici (ovvero gente esperta in qualcosa ma non necessariamente inquadrata in un contesto di appartenenza, cioè il contrario dei politicanti di professione) il compito di prendere decisioni necessarie ma impopolari, anzi, di prendere decisioni e basta.

Capita, cioè, che deputati e senatori appartenenti sia alla destra, che alla sinistra, che a quella palude “centrista” su cui è meglio stendere un velo pietoso e di cui ci eravamo illusi di esserci liberati una ventina di anni fa, prima di scoprire che magari non moriremo democristiani, ma ex-democristiani probabilmente sì, si siano di fatto tirati indietro piuttosto che assumersi delle responsabilità; dimostrando, nella migliore delle ipotesi, di non sapere cosa fare, nella peggiore di saperlo perfettamente ma non poterlo rivelare, perché significherebbe ammettere di essere dei corrotti che si affidano a faccendieri, truffatori, farabutti e furbetti di ogni genere per mettere le mani sul denaro di tutti o per restare aggrappati a un potere che, in quanto espressione di un mandato, dovrebbe essere transitorio, discreto, delimitato e vincolato al rispetto del patto tacito che i cittadini sottoscrivono con chi decidono di votare come loro rappresentante, ma che sempre più spesso sta diventando un esercizio fine a se stesso o un modo come un altro per sistemare figli, nipoti, parenti e amanti, come in una farsa da tre soldi.

Tutto questo capita, e altro ancora. Ma quello che proprio non dovrebbe capitare è che quegli stessi partiti, quella stessa classe politica che ha innescato e alimentato questo perverso gioco di incastri tra inettitudine e delinquenza che ci sta trascinando verso un baratro economico e sociale di cui non si riesce a vedere il fondo, si svegli alla vigilia di un appuntamento elettorale e se la prenda con la cosiddetta “antipolitica”, azzardando perfino l’ipotesi che questo spettro che si aggira per l’Italia sia un pericolo per la democrazia!

Proviamo a ingoiare il conato che questo atteggiamento ci provoca e a ragionare in modo pacato. Visto che si parla tanto di “antipolitica” e di rischi per la democrazia, diciamo che cosa sono la politica e la democrazia. La politica, se non ricordo male, già ai tempi di Aristotele è amministrare la “polis” (cioè la città, la comunità) per il bene di tutti, attraverso “uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini partecipano”. Sulla democrazia poi si sono scritti oceani di parole, ma per semplificare si può dire che è la forma stessa della “polis”, ovvero l’espressione del diritto di cittadinanza che si riconosce a tutti coloro che fanno parte della comunità per cui, con cui e attraverso cui si decide in che modo amministrare (per il bene di tutti) quello stesso spazio pubblico che ha dato il nome alla politica, e in cui tutti noi viviamo.

Detto questo, a me sembra che i cittadini che si indignano e decidono di votare per qualcun altro o qualcos’altro facciano politica in senso stretto e interpretino correttamente il concetto di democrazia. Così come i cittadini che decidono di non votare, o che si incazzano e basta. Fanno politica, eccome, ed esprimono uno dei significati più profondi della democrazia: il diritto di protestare, di non rendersi complici di chi ha tradito le deleghe che aveva chiesto o elemosinato, in una parola, il diritto di non riconoscere un ruolo rappresentativo e “onorevole” a chi ha dimostrato di non meritarlo.

La vera antipolitica, il vero rischio per la democrazia, è l’arroganza di quei potenti che si credono al di sopra delle leggi, l’incapacità di quei governanti che antepongono l’interesse personale al bene comune; è la falsità, l’ignoranza, la mancanza di un sia pur minimo senso civico in chi dovrebbe interpretarlo più di ogni altro. Il fatto è che per molti politici noi non siamo dei cittadini da ascoltare e rispettare, ma degli “elettori” a cui rivolgersi nello stesso modo in cui un’azienda si rivolgerebbe a dei consumatori, o un’emittente televisiva a dei telespettatori: numeri, audience, soggetti passivi da attivare solo per giustificare un risultato provvisorio e un guadagno immediato. Con la differenza che un’azienda o un’emittente televisiva non definirebbero mai con sufficienza anticonsumatore chi non acquista un certo prodotto o antitelespettatore chi non guarda un certo programma: trarrebbero piuttosto le dovute conseguenze di fronte a eventuali atteggiamenti negativi.

La maggior parte dei politici invece – quelli che lo fanno per sete di potere o per interesse – non è neppure capace di capire che certe reazioni dei cittadini sono il risultato del disgusto che il loro stesso comportamento ha provocato, e che tutto sommato è una fortuna, per loro, vivere in un’epoca in cui ci si limita alla nausea e alla protesta: in altri tempi e in altri luoghi la protesta avrebbe potuto diventare una rabbia scomposta, e i cittadini avrebbero assalito qualche fortezza e fatto cadere delle teste, non sempre in modo figurato. Anche quelli erano cittadini che facevano politica, difendevano i loro diritti e aggiungevano pagine importanti alla storia della democrazia. Purtroppo ogni popolo ha le rivoluzioni che si merita. E noi, evidentemente, non ne abbiamo mai meritata una che possa dirsi tale. Una di quelle capaci di spazzare via (ma per davvero) i corrotti e i faccendieri, gli ex e i post, i privilegiati e gli impuniti; o quanto meno chi ci prende in giro.

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