[Imagine. The John Lennon Wall, Praga, 2011]
Esprimo e condivido dubbi sulla deriva consumistica del Natale da così tanto tempo che ormai non ho bisogno né di ribadire certi concetti né di mettere in evidenza il fatto che è proprio nei momenti di crisi che dovremmo ripensare ai significati, cercando di recuperare quelli che contano davvero. Ma non voglio neanche insistere sui presupposti e gli effetti della crisi di cui quest’anno si parla tanto: l’abuso della parola “crisi” è quasi un insulto alla sua nobile etimologia. Piuttosto, anziché esercitarci in speculazioni di vario genere o lamentarci come soprattutto noi italiani sappiamo fare, dovremmo approfittarne per riflettere con più calma, per capire in che cosa abbiamo sbagliato e in quale direzione sarebbe sensato orientarsi. Certo, so che è difficile in questo momento mantenere la lucidità necessaria per fare chiarezza; ma in fondo la saggezza, come diceva Proust, “è un punto di vista sulle cose”, ed è quindi lecito o addirittura auspicabile prendere una posizione nel momento stesso in cui si cerca di essere saggi. Così, senza sprecare nemmeno le parole, mi piacerebbe poter ridurre il mio punto di vista sulle cose del 2011 a una considerazione e a un auspicio.
La considerazione riguarda il modello dominante di questa nostra società dei consumi superflui e del benessere obbligatorio: è un modello perdente, sconsiderato, che si fonda solo ed esclusivamente sulla presunzione che il denaro permetta di rendere tangibili i desideri e che i desideri non siano altro che l’apparenza di una felicità quantitativa, costituita dalla somma algebrica di tutto ciò di cui non abbiamo realmente bisogno per vivere (e meno che mai per sentirci vivi) ma ci appare indispensabile grazie all’insistenza dei messaggi promozionali e alla complicità indiretta di abitudini colpevolmente sorrette dal conformismo dell’informazione e della comunicazione. La sostanza di questa deviazione è che quando non c’è denaro o ce n’è di meno ci sembra non solo di non poter realizzare i nostri sogni, ma addirittura di non poterne avere. Il modello consumistico, gli interessi delle multinazionali e le strategie commerciali, di fatto, hanno ridotto, forse annichilito del tutto la nostra capacità di immaginare: sono riusciti a convincerci che i veri desideri sono soltanto quelli che ci vengono suggeriti, a tal punto che non siamo più capaci di identificarne qualcuno che possa realmente dirsi nostro, originario, che scaturisca come l’acqua di una sorgente dalle profondità della nostra stessa anima. Basterebbe capire questo passaggio per provare dapprima una rabbia profonda, e poi, andando oltre quella stessa rabbia, impegnarsi nella ricerca di una nuova coscienza. Ricominciando da dove è giusto ripartire: dall’idea che volere di tutto e di più è solo una bufala inventata da degli sciagurati per convincerci a indebitarci pur di soddisfare bassissime pulsioni o possedere scadenti e inutili cianfrusaglie; e che, al contrario, è ragionevole (e soprattutto molto più umano) pretendere di meno, purché sia compatibile con le nostre possibilità e ci renda realmente felici. In una parola, purché sia vero, significativo, unico. Come noi.
L’auspicio è più semplice da spiegare, come tutto ciò che non si pone limiti: penso che si debba continuare ad aver voglia di cambiare il mondo, e spero che ci riusciremo. Per questo auguro a chi vorrebbe essere più saggio di sentirsi illuminato; a chi ha bisogno di emozioni di trovarle nel primo sorriso o nel riflesso di un’alba in una goccia di rugiada; a chi cerca serenità di sentirsi libero; a chi pretende giustizia di essere compreso; a chi è costretto a combattere di provare la gioia incontenibile della pace; a chi non trova un senso di incontrare occhi innocenti, che si accontentano di donare amore (e non c’è nulla che valga di più). Per costruire un mondo migliore dobbiamo prima di tutto imparare di nuovo a immaginarlo.
La fine di un anno e l’inzio del nuovo è il momento dei propositi e delle buone
intenzioni…. è da un po’ di tempo che incontro persone impegnate in progetti,
idee, imprese. Tutto meraviglioso.
Poche, però, ne ho incontrate che sappiano fare bene due cose, due cose semplici:
amare ed invecchiare. Saper amare veramente e saper accettare il tempo che passa. A
tutti auguro di imparare presto, e sempre meglio, a fare queste due sole cose.
Penso che potrebbere essere la vera strada all’innovazione.
Un caro saluto
Riccardo
http://www.polysiec.org