Che cos’è la democrazia? 1

Oggi mi sento frastornato dai commenti, dai grafici, dalle analisi, dai pregiudizi e dai postgiudizi. C’è sempre troppo di tutto ogni volta che si chiude un ciclo elettorale, come se la politica non potesse sopravvivere senza rumore, senza urla, senza cercare di giustificarsi. Ma qui nel mio ufficio c’è abbastanza silenzio, si riesce perfino a pensare a volte. Così mi chiedo: cos’è la democrazia? E mi vengono in mente delle parole chiave, dei “tags”, visto che siamo in pieno web 2.0 e possiamo permettercelo. Prima di tutto penso che la democrazia sia partecipazione. Ogni cittadino dovrebbe poter partecipare in modo diretto o quanto meno, soprattutto nelle società più complesse, essere rappresentato, in modo che i suoi bisogni e i suoi desideri possano confrontarsi con quelli di altri cittadini, e si possa costruire insieme un territorio, uno spazio in cui tutti possano sentirsi sufficientemente soddisfatti, nel rispetto reciproco e sulla base di un’etica condivisa. Possiamo chiamare ancora democrazia un’Europa dove oltre la metà dei cittadini non partecipa o non è rappresentata? Dove molti non votano perché evidentemente non sanno per chi votare e altri, pur votando liberamente, non riescono comunque a eleggere i loro rappresentanti? C’è qualcosa che non funziona in un continente che non comprende l’importanza di un voto per eleggere un parlamento dove potranno confrontarsi i rappresentanti di popoli che fino a 65 anni fa si scannavano gli uni contro gli altri. Dove non ci saranno le voci di decine di milioni di persone, mentre altri milioni di persone saranno rappresentate da delegati che talora negano l’esistenza e la legittimità di quello stesso parlamento. L’Europa è una democrazia? Forse sì, ancora, ancora per un po’. Ma lo diventerà davvero quando tutti saranno adeguatamente rappresentati, e quel parlamento sarà il luogo in cui tutti i cittadini europei potranno discutere insieme. Che cosa hanno fatto i partiti italiani per ricordarci che questo era uno dei primi obiettivi da raggiungere? E che cosa hanno fatto i partiti di altri paesi? La democrazia è anche chiarezza. Nessuno, ragionevolmente, può votare per eleggere dei rappresentanti che non si sa chi o cosa rappresenteranno. Dovrebbe esserci chiarezza negli intenti, nei programmi, nei principi. Ma si parla sempre d’altro, e non si riesce a essere chiari neanche nei commenti: c’è chi pensa di aver vinto perché non ha perso come temeva, o di non aver perso perché altri non hanno vinto come pensavano. Possibile che non si riesca semplicemente a leggere dei dati per quello che sono? La chiarezza che la democrazia implica e richiede è estremamente semplice: se si eleggono dei rappresentanti conta quanti ne elegge ciascuno dei gruppi per cui i cittadini potevano votare. Questo risultato determina la composizione del parlamento, dove tutti i rappresentanti potranno (e dovranno) portare la voce e le istanze di chi li ha eletti, e dove si formeranno delle maggioranze e delle opposizioni, nel rispetto della regola della metà più uno. Che non significa stabilire chi sono i vincitori e i vinti, ma accettare che l’impronta delle decisioni che si ripercuoteranno sulla vita di “tutti” i cittadini sia determinata (per un arco di tempo circoscritto) da coloro che ne rappresentano la maggior parte, ascoltando e tenendo conto delle esigenze della parte restante. Che a sua volta, in quello stesso arco di tempo, si impegnerà non solo a sostenere le proprie ragioni ma anche per convincere i cittadini che sono valide e che potrebbero improntare le future decisioni. Penso che in molti paesi europei (ma non certo in tutti) ci sia abbastanza chiarezza in tal senso. Ma mi chiedo se l’Italia, da questo punto di vista, si può definire una democrazia. Non mi sembra che a tutti siano chiare le regole. Non mi sembra che sia chiaro il modo in cui le maggioranze e le opposizioni possono dialogare e confrontarsi. E nei battibecchi che ho ascoltato in questi giorni ho colto anche un ulteriore mancanza di chiarezza: la confusione tra “politica” e democrazia, il pensare (diffuso) che la democrazia consista soltanto nella possibilità di fare politica. Forse ci sfugge che anche Mussolini, Hitler o Stalin facevano politica (eccome se la facevano…) senza per questo avere nulla a che fare con la democrazia. Mi piacerebbe vivere in un paese dove la politica consiste nel prendere decisioni su ciò che si ritiene sia utile ai cittadini, nei limiti di un territorio definito dal concetto di democrazia. Temo però di essere cittadino di un paese dove la democrazia non è un quadro di riferimento ma un alibi per fare politica, intendendo con la politica non il governo di ciò che è pubblico ma la lotta per il potere. Manca completamente una terza parola chiave nello scenario italiano: l’equità. Non c’è democrazia senza equità. Non c’è equità senza un’etica condivisa. Non si può essere equi nelle decisioni politiche (nel senso più puro della parola) se non tutti sono rappresentati, se chi rappresenta dei cittadini utilizza il potere che gli è stato delegato per i suoi interessi personali, se il consenso non si fonda sui programmi e sui significati ma sulla presenza mediatica, sullo scambio di favori, sul clientelismo o peggio. Da questo punto di vista l’Italia non può dire di essere mai stata una democrazia. Da sempre le leggi si fanno soprattutto per accontentare questo o quello, e non solo le leggi: le singole azioni dell’ultimo delegato del più piccolo ente locale sono spesso (anche se non sempre) legate a interessi momentanei, al mantenimento di piccoli privilegi, a qualche prezzo da pagare. In una parola, sono profondamente inique, poiché non tengono conto della voce di tutti e non rappresentano l’opzione che si ritiene consona e di cui ci si assume in modo chiaro la responsabilità. Non è questione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Sbagliare è possibile. Ma bisognerebbe dare a tutti la possibilità di partecipare alle decisioni, decidere senza privilegiare interessi personali o posizioni di comodo, spiegare in modo chiaro le ragioni delle scelte che si sono effettuate e ammettere, nel caso, di aver sbagliato. Tutto questo, forse, somiglierebbe alla democrazia. Ma non somiglia affatto al paese in cui sono nato e vivo, e neanche alla maggior parte di chi ci rappresenterà in Europa. Che cosa possiamo fare per uscire da questa situazione?

[da leggere: cos’è la democrazia, intervista a Norberto Bobbio, 1985]

One comment on “Che cos’è la democrazia?

  1. mario.pirrello Jun 9,2009 1:34 pm

    Quando un’analisi finisce con una domanda vuol dire che siamo nei guai. Caro Mario la tua desamina mi trova, in linea generale d’accordo. Se non che hai dimenticato che i partiti di governo fino a poco tempo fa erano euroscettici, e contro la moneta unica. E ieri trainati dal loro padrone hanno fatto la gara per arraffare quanto più possibile delegati europei per fare cosa? Distruggere l’europa comunitaria? Tornare alla lira? In campagna elettorale non ho sentito il loro intendimento. Nè che qualcuno li sollecitasse in questo senso, intendo giornali-sti-lai(oggi gran parte degli osservatori sono prezzolati e faziosi), o politicanti antagonisti. Ora dicono che sono forti, di più, ma per cosa? Forse parlano delle riforme in italia? Le faranno da soli e, alla faccia della democrazia? di una sola parte del popolo. Il rinascimento italiano ebbe solo pochi intellettuali che perseguivano l’unità della nazione e furono martiri perché mancava loro il popolo, ignorante inconsapevole di cosa si parlasse o per cosa si lottasse allora. Oggi il popolo è peggiore di allora; analfabeta in senso letterale e politico. L’attuale governo sta dando una bella spallata per compiere l’opera di demolizione dei principi su cui si basa la civile convivenza nel nostro paese, in sintonia coi clericali. La scuola poteva salvare l’italia elargendo cultura, ma è stata neutralizzata facendole mancare i fondi che servivano per essere libera. Il qualunquismo impera ed è vincente. come direbbe Peppe Rotta “Caliti juncu c’arriva a sciumara” piegati canna che c’è la piena se non vuoi romperti. Che fare? Gli eroi? No! Speriamo e, impegnamoci perché vengano tempi migliori. ciao Mario

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