Domande retoriche 2

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Sarò breve. Siamo alla deriva, e la manifestazione più evidente della deriva in atto è l’eccesso  di retorica che ormai affianca e purtroppo accompagna le nostre giornate. Si insinua prima di tutto nel linguaggio delle conferenze stampa e dei mezzi di informazione, dove imperversa e prevale largamente  il gergo bellico e militare, che un paese civile dovrebbe accuratamente evitare, non solo perché è pesante e fuori luogo, ma anche perché serve solo a mantenere alta la percezione di un pericolo imminente alimentando la paura. Dal punto di vista comunicativo chiamare “bollettino di guerra” il quotidiano conteggio dei contagiati, dei morti e dei guariti non solo è un eccesso retorico, ma anche un modo sbagliato di informare le persone e soprattutto un insulto a chi la guerra (quella vera) l’ha vissuta e la vive in prima persona, o è costretto a subirla. Ma quasi nessuno riflette su questo, anzi, si continua parlando di battaglie, di prima linea, di eroi, di caduti, con l’ovvio corollario finale: siamo in guerra, dobbiamo vincere, e vinceremo. Vi ricorda qualcosa?

Si passa poi ad una retorica di secondo livello, che stranamente nessuno ha ancora chiamato 2.0 (ci mancherebbe anche questo): è la retorica della patria. L’Italia ha nostalgia del fascismo e dell’uomo forte, solo al comando. Poco importa che gli storici abbiano detto tutto su quel periodo e ci permettano di formulare un giudizio definitivo: sotto sotto molti italiani continuano a esser nostalgici, proprio perché sono permeabili ad una retorica che si fonda su alcuni assiomi che toccano l’orgoglio italiota e quindi non possono essere discussi, né smontati. Lui era forte e virile (peccato che i filmati d’epoca, per quanto cuciti su misura dalla propaganda, mostrino in realtà un uomo dalla gestualità fastidiosa e quasi mai capace di concentrarsi su ciò che gli astanti adoranti gli spiegano), Lui faceva viaggiare i treni in orario (peccato che non ci siano dati certi su questo, e a pensarci bene non è chiaro neppure che cosa significa: in orario rispetto a quali tempi di percorrenza? Su che arco di tempo di riferimento?), Lui aveva ridato all’Italia dignità e visibilità (in realtà, allora come oggi l’Italia contava poco o nulla sullo scenario internazionale), Lui non era un pazzo come il tedesco (e allora perché ha accettato le leggi razziali e ha trascinato l’Italia in una guerra disastrosa, che non solo non poteva vincere, ma non era neppure in grado di combattere? Lo hanno consigliato male? Parenti serpenti? Ma non era solo al comando?), Lui voleva bene agli italiani, prima di tutto agli italiani (e su questo punto non commento neanche…). Eppure la retorica della patria di ispirazione fascista oggi è diffusa a tutti i livelli e in cerchie insospettabili: insieme ce la faremo, viva l’Italia, siam pronti alla morte, lo fermeremo sul bagnasciuga; magari con la mascherina, ma il senso è quello.

Ma la retorica più difficile da sopportare è quella autarchica, anch’essa di ispirazione fascista. Ci si deve convincere che possiamo fare tutto da soli perché siamo italiani, italiani veri. E così, alle parole e alle immagini di cui sopra si aggiungono tutti quelli che ogni giorno dicono che in fondo stare a casa è bello, che ci si rende conto di molte cose buone, che lavorare o studiare in rete è interessante, che alla fine si trova perfino il tempo per fare il pane e via continuando, comprese le prime avvisaglie di quelli che saranno i tormentoni del dopo-virus: compriamo prodotti italiani, andiamo in vacanza in Italia, riscopriamoci, perché siamo brava gente, siamo intelligenti e nelle difficoltà diamo il meglio di noi. Peccato che una volta superate le difficoltà si torni a dare il peggio. Perché non siamo gente così brava, ma il territorio in cui prospera una criminalità organizzata che nel tempo ha probabilmente causato più morti del coronavirus. Perché sappiamo benissimo che non è possibile né ha senso definire italiano un prodotto industriale che magari è assemblato in qualche fabbrica delocalizzata là dove la manodopera costa pochissimo. Perché niente e nessuno ci impediva, prima, di fare il pane o di leggere o di dedicarsi un po’ di tempo, eppure non lo abbiamo fatto; così come tante altre cose che avremmo non solo potuto ma dovuto fare da tempo, tipo non usare la macchina per andare a prendere i figli alla scuola che dista 600 metri da casa, imparare a riciclare, usare computer e smartphone anche per fare qualcosa di utile e di intelligente e così via. Ma di questo si parla già meno, o meglio, se ne parla evidenziando il fatto che si tratta di fastidi quotidiani che volendo siamo capaci di accettare, non perché è giusto, ma perché ce lo chiede un qualche Lui, perché è necessario per arrivare alla vittoria finale e alla sconfitta del virus… certo che il virus che si arrende agli italiani è un’immagine indelebile!

Non so per quanto tempo ancora andrà avanti questa storia: d’istinto, direi che durerà fino a quando farà comodo a chi ne sta approfittando, o fino a quando farà notizia. O tutte e due. E a quel punto? Come saremo? Cosa saremo? Forse sono solo domande retoriche… ma nel frattempo, vogliamo almeno provare a interrogare la nostra coscienza, anziché aspettare che qualcuno ci dica non solo cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma pretenda anche che ci si esprima come se non fossero passati diversi decenni da quando l’Italia non era ancora una Repubblica democratica?

2 thoughts on “Domande retoriche

  1. Emy Apr 24,2020 9:17 am

    Grazie Mario! Una riflessione della quale condivido ogni parola.

  2. Francesca Apr 20,2020 6:38 pm

    Grazie, leggere qualcosa che abbia senso non capita spesso…e mi fa sentire meglio.
    Francesca

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