“San Michele aveva un gallo, bianco rosso verde e giallo, e per addomesticarlo gli dava latte e miele…” Non so perché, ma in questi giorni questa vecchia filastrocca mi ha inseguito e accompagnato, insieme a qualche fotogramma di un film dei fratelli Taviani che aveva quasi lo stesso titolo. Non ho indagato più di tanto sulle ragioni di questi frammenti di pensieri e sprazzi di immagini (che tecnicamente potrei chiamare flash-back, ma saprebbe già di artefatto…). Ho solo pensato a cosa avrei potuto farne. E ho deciso quasi immediatamente di partire da quei due versetti per ricavarne una ricetta creativa e un po’ audace, che ora cercherò di raccontare, come sempre, mettendo l’amore al posto del dosaggio degli ingredienti e ricordando che ognuno degli ingredienti va scelto con cura, perché gli ingredienti sono proprio come una filastrocca, devono essere assonanti, dipendere l’uno dall’altro come in una via dei canti. Così ho cominciato con due prodotti di stagione, la zucca gialla e il cavolo nero (che dopo le prime gelate è perfetto…): li ho precotti separamente e poi dalla zucca ho ricavato una purea, mentre il cavolo nero l’ho affettato a strisce sottilissime. Ecco il verde e il giallo della filastrocca. Con la zucca e il cavolo nero ho cominciato a preparare un risotto (ecco il bianco), soffriggendo un po’ di aglio (rosso) di Sulmona in un po’ d’olio extravergine. Riso carnaroli, in questo caso, ma potrebbe andare bene anche un vialone nano. Prima di mettere su il risotto, però, dovevo completare la filastrocca. Così sono andato a cercare un petto di pollo di buona qualità (ecco il gallo) e ne ho ricavato una tartare a coltello che ho lasciato marinare per un paio d’ore con abbondante paprica rossa dolce, aceto balsamico, sale grosso e una spruzzata di vinsanto. Per poi cuocere il tutto come se fosse un ragù (ma rigorosamente senza pomodoro, il rosso è già garantito e rafforzato dalla paprica e il pomodoro stonerebbe con altri ingredienti); lentamente, aggiungendo acqua o vinsanto se necessario. Nel frattempo ho pensato a cosa fare con il latte e il miele, che rappresentano evidentemente l’ostacolo maggiore alla metamorfosi gastronomica della filastrocca: un crinale pericoloso da percorrere. Ci ho provato sciogliendo due cucchiai di miele (suggerirei quello di erica) su un pentolino appena riscaldato e incorporando nel miele abbondante zenzero macinato, fino a ottenere quasi una pasta densa, che poi ho mescolato con mezzo vasetto di yogurt alla greca. Quasi un’evocazione ancestrale, un ricordo: ma non è forse là che prendono forma le filastrocche? Ora, però, è il caso di tornare al risotto. Che deve essere mantenuto liquido fino a un minuto prima del limite di cottura: a quel punto si aggiungerà la pastella di miele, zenzero e yogurt e si lascerà mantecare. Si servirà poi direttamente nei piatti versando sopra un’abbondante dose del ragù di pollo alla paprica rossa ben caldo, come se fosse una guarnizione, ma sapendo che si dovrà mescolare il tutto un attimo prima di assaggiare…
Sapori, profumi, tradizione…poesia. Leggerti è un piacere ed un’ arricchimento, Mario. Grazie per questa chicca. Il risotto? Proverò a farlo! :-))